Tecniche di combattimento a mani nude elaborate in Giappone dai Bushi dell’epoca Kamakura(1185-1333), per consentire ai Samurai di difendersi efficacemente anche di fronte a un avversario che possedesse ancora le sue armi.
Quest’arte si sviluppò dalle antiche tecniche del Kumi-uchi (Yawara), descritte nel Konjaku-Monogatari, opera buddista che risale al XIII secolo. Nel corso dei secoli, diverse scuole di Ju-Jitsu (Wa-jutsu, Yawara, Kogusoku, Kempo, Hakuda, Shubaku ecc.), tutte appartenenti alla “Via dell’arco e del cavallo” (Kyuba-no-michi) si svilupparono e migliorarono le tecniche originali, aggiungendovi nuovi movimenti e contromosse adottate dall’arte cinese di combattimento (Shaolin-si) e alcune tecniche particolari utilizzate dagli arbitri di Okinawa (Okinawa-te).
Quest’arte così rielaborata fu reimpostata in Cina verso il 1638 da Chen Yuanbin (1587-1671), poeta e diplomatico cinese residente in Giappone. Tuttavia il Ju-Jitsu si sviluppò come arte marziale solo durante l’epoca Edo, in cui il paese visse un periodo di relativa tranquillità.
Numerose scuole di combattimento, create dai dei Ronin (Samurai senza padrone), diffusero rapidamente le tecniche di Ju-Jitsu in tutto il Giappone. Esse però vennero modificate solo durante l’epoca Meiji (1868-1912), cioè nel periodo in cui i Samurai persero il diritto di portare la Katana e in cui le faide tra clan rivali vennero interdette.
Il principio uniformatore del Ju-Jitsu era di poter vincere l’avversario con ogni mezzo, utilizzando la minor energia possibile: ciò richiedeva dunque agli adepti della “dolce arte” di specializzarsi in diverse discipline.
Il Praticante di Ju-Jitsu doveva quindi:
• Saper valutare la forza dell’avversario, per
utilizzarla contro di lui, prima che il suo attacco
risultasse efficace;
• Se possibile, evitare gli attacchi;
• Nel corso del combattimento, squilibrare l’avversario;
• Saper attaccare senza conoscere i punti deboli;
• Saperlo proiettare facendo uso del principio della
leva;
• Saper immobilizzare al suolo l’avversario torcendogli
le membra, lussandogliele, oppure strangolandolo;
• Saper colpire i suoi punti vitali in modo da fargli
perdere conoscenza, e ferirlo seriamente oppure
ucciderlo.
In pratica, l’arte del Ju-Jitsu “Bushi” (guerriero) si
prefiggeva di annientare l’avversario mettendolo
nell’incapacità di eseguire un nuovo attacco. A tal
proposito veniva quindi utilizzato ogni genere di
tecniche pericolose e sovente mortali.
Inizialmente praticato dai Samurai, poi dai Ninja, il
Ju-Jitsu, diffondendosi rapidamente anche tra le classi
più umili, divenne un metodo di combattimento utilizzato
soprattutto dai briganti, e da ciò derivandone una
cattiva reputazione immeritata.
Questa fu una delle ragioni per cui Kano Jigoro utilizzò
le tecniche “dolci” del Ju-Jitsu per creare un nuovo
sport, che chiamò Judo, per differenziarlo dal mortale
Ju Jitsu.
Fino al 1922, anno in cui fu fondato ufficialmente il
Kodokan, solo il Ju-Jitsu era riconosciuto ed insegnato
nei numerosi Ryu o scuole sia in Giappone sia
all’estero.